LETTERA ENCICLICA
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI
PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI
AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE
PACE E COMUNIONE.
«Protesta
energicamente contro la presa di Roma e la dichiarazione
di considerare
la Santa Sede Apostolica
come prigioniera
di fatto.
Commina la
scomunica maggiore ai fautori e cooperatori
delle invasioni
dello Stato della Chiesa»
PIO PP. IX
VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE
Con questa famosa Enciclica si apre la «questione romana» dopo la caduta del potere temporale del Papato. Il documento riassume la millenaria difesa dei diritti della Chiesa sui territori che ne hanno, pur nelle alterne vicende, costituito il patrimonio territoriale al quale non intende, ed afferma di non potere, rinunziare. Il Pontefice non poteva giudicare altrimenti la spoliazione che la Chiesa subiva, ma il popolo italiano, pur nell’angoscia di molti cattolici, non poteva concepire l’unità senza il territorio dello Stato della Chiesa e la sua capitale. L’enciclica, pur non risparmiando severi giudizi ispirati alla tragicità del momento storico per la Chiesa, giunge però a una conclusione sapientemente politica; come indubbiamente è stata meditatamente decisa la condotta del Pontefice di fronte all’occupazione di Roma. Pio IX ha compreso la ineluttabilità dell’evento e di ciò bisogna fargli merito. Se avesse pensato trattarsi di un’avventura di guerra come tante ne aveva viste nei secoli la capitale della Cristianità, avrebbe potuto allontanarsi da Roma e in una sede provvisoria attendere gli eventi. Tanti Papi avevano dovuto lasciare Roma di fronte agli invasori e alle ribellioni per poi ritornarvi. Ma Pio IX intuì nel suo acuto senso politico che se il 20 settembre 1870 egli si fosse allontanato da Roma, non avrebbe forse più potuto rientrarvi. E ai consigli che gli venivano da tante parti, di lasciare la Città Eterna e di rifugiarsi in una nuova sede, rispose con un fermo rifiuto.
La pubblicazione di questa storica enciclica non mancò di elementi romanzeschi. Essa non fu subito resa pubblica: venne inviata direttamente ai vescovi e apparve nel suo testo sul quotidiano L’unità cattolica di Torino, che per ordine del governo venne sequestrato. Il giornale si difese affermando di avere trascritto l’enciclica da una pubblicazione diffusa da uno stampatore svizzero. Altri giornali italiani la riprodussero e ad essi venne esteso il sequestro. Poiché da parte vaticana non si elevarono immediate proteste, qualcuno perfino sospettò che l’enciclica fosse apocrifa. Vennero poi altre pubblicazioni sui giornali di Napoli che furono lasciati diffondere liberamente, anche perché contro il sequestro si era protestato da parte di deputati liberali, quale Pasquale Stanislao Mancini, contrari per principio ad ogni limitazione della libertà di stampa. Il Vaticano diramò poi il 25 novembre una nota diplomatica nella quale si prendeva argomento dal sequestro dell’enciclica per dimostrare lo stato di soggezione in cui si trovava la Chiesa.
Considerando tutto ciò che il governo subalpino da molti anni va senza interruzione perpetrando per rovesciare il Principato civile concesso a questa Sede Apostolica per particolare volontà di Dio, affinché i successori del beato Pietro potessero nell’esercizio della loro giurisdizione spirituale godere la necessaria e sicura pienezza di libertà; per forza, o Venerabili Fratelli, siamo turbati da grande intimo dolore per così audace cospirazione contro la Chiesa di Dio e questa Santa Sede: e in questi tempi così funesti nei quali quel governo, seguendo i consigli rovinosi delle sette, ha compiuto contro ogni diritto, con la forza delle armi, la sacrilega invasione già da gran tempo premeditata di questa Nostra alma Città e delle altre città che Ci erano rimaste dopo la precedente usurpazione; mentre Noi rispettiamo i misteriosi voleri di Dio umilmente prostrati dinanzi a Lui, siamo costretti a servirCi delle parole del profeta: "Io piango e il mio occhio versa lacrime, perché molto si è allontanato da me il Consolatore abbattendo l’anima mia; i miei figli sono perduti poiché il nemico ha vinto" (Jer. thr. I, 16).
Già da gran tempo, Venerabili Fratelli, fu da Noi assai chiaramente esposta e palesata al mondo cattolico la storia di questa nefasta guerra, il che abbiamo fatto con parecchie Allocuzioni, Encicliche, Brevi, mandati, intenti diversi; e cioè il 1° Gennaio 1850, il 22 Gennaio e il 26 Luglio 1855, il 18 e 26 Giugno e il 26 Settembre 1859, il 19 Gennaio 1860; con Lettera Apostolica del 26 Marzo 1860; nonché con Allocuzioni del 28 Settembre 1860, del 18 Marzo e del 30 Settembre 1861, del 20 Settembre, del 17 Ottobre e del 16 Novembre 1867. La serie di questi documenti fa conoscere e conferma le gravissime ingiurie arrecate dal governo subalpino alla suprema autorità Nostra di questa Santa Sede, anche prima dell’occupazione del dominio ecclesiastico incominciata negli scorsi anni; ingiurie arrecate sia emanando leggi contro il diritto naturale divino ed ecclesiastico, sia assoggettando i sacerdoti, le Compagnie religiose e i Vescovi stessi a indegni maltrattamenti; sia venendo meno alla fede che implicavano le solenni convenzioni strette con la Sede Apostolica e negando risolutamente la loro inviolabilità persino nel tempo in cui quel governo dichiarava di voler iniziare nuove trattative con Noi. Dai medesimi documenti appare chiaro, Venerabili Fratelli, e apparirà chiaro a tutta la posterità, con quali artifici e con quante astute e indegne macchinazioni quel governo sia giunto a opprimere i giusti e santi diritti di questa Apostolica Sede e nello stesso tempo si conoscerà quanta premura Ci siamo data per reprimere per quanto era in Noi la sua audacia che aumentava di giorno in giorno e per difendere la causa della Chiesa. Sapete bene che nell’anno 1859 molte città importanti dell’Emilia, a mezzo di scritti clandestini, cospiratori, armi e denaro furono spinte dal potere subalpino alla ribellione; e che non molto tempo dopo, indetti i comizi popolari e captati i voti, si finse un plebiscito e con questo inganno le Nostre province di quella regione furono strappate al Nostro paterno dominio, mentre i buoni si opponevano invano. È anche risaputo che nell’anno seguente il medesimo governo, per fare sua preda le altre province di questa Santa Sede poste nel Piceno, nell’Umbria e nel patrimonio di San Pietro, adducendo falsi pretesti circondò con improvviso impeto e con grande esercito i Nostri soldati e la schiera volontaria della Gioventù Cattolica, che spinta da sentimento religioso e da pietà verso il Padre comune era volata da tutto il mondo a Nostra difesa; e che con sanguinosa battaglia schiacciò queste milizie che non sospettavano così improvvisa eruzione e che tuttavia lottarono intrepidamente per la Religione. Tutti conoscono la sfacciata ipocrisia e l’impudenza di quel governo che per diminuire la brutta impressione di questa sacrilega usurpazione non esitò a proclamare di aver invaso quelle province per ristabilirvi i principi dell’ordine morale; mentre invece in realtà promosse ovunque la diffusione e il culto di tutte le false dottrine ovunque allentò le briglie ai desideri e all’empietà, castigando inoltre ingiustamente i sacri Vescovi e gli Ecclesiastici di ogni grado che imprigionò e lasciò pubblicamente insultare, mentre permetteva che andassero impuniti i persecutori e coloro che non rispettavano neppure la dignità del Pontificato nella Nostra persona. Inoltre è noto che Noi, come era Nostro dovere, non solo Ci siamo sempre opposti ai ripetuti consigli e suggerimenti che Ci venivano dati perché tradissimo vergognosamente il Nostro dovere, sia abbandonando e consegnando ad altri i diritti e i possessi della Chiesa, sia concludendo una infame conciliazione con gli usurpatori; ma che anche abbiamo contrapposto a queste inique, temerarie e delittuose azioni, perpetrate contro ogni diritto umano e divino, solenni proteste di fronte a Dio e agli uomini; che abbiamo dichiarato i loro autori e fautori soggetti alle censure ecclesiastiche e che ove ce n’è stato bisogno li abbiamo con tali censure ripetutamente puniti. Infine è risaputo che quel governo, nonostante tutto, ha persistito nella sua ribelle attività e ha cercato continuamente di provocare l’insurrezione nelle altre Nostre province e soprattutto in Roma, con l’introdurvi dei sobillatori e con artifici di ogni genere.
Ma poiché questi tentativi non riuscivano secondo l’aspettativa, per l’incrollabile fede dei Nostri soldati e l’amore e la devozione dei Nostri popoli che Ci venivano manifestati in modo splendido e costante, finalmente si scatenò contro di Noi quella violenta tempesta dell’anno 1867 quando nell’autunno furono mandate contro i Nostri territori e contro questa città coorti di sciagurati ardenti di delittuoso furore e aiutate da quel governo (e parecchi di questi già da prima stavano nascosti in Roma) e dalla loro violenza, dalle loro armi feroci ci sarebbe stato da temere ogni atroce crudeltà per Noi e per i Nostri direttissimi sudditi, come appariva chiaramente, se Dio misericordioso, con il valore delle Nostre milizie e il valido aiuto delle legioni mandateCi dalla nobile Nazione Francese, non avesse reso vani i loro assalti (1).
In tante battaglie, in così grande susseguirsi di pericoli e di crudeli tribolazioni, la Divina Provvidenza Ci apportava grandissimo conforto con la vostra grande, affettuosa pietà, Venerabili Fratelli, e con quella dei Vostri fedeli, verso Noi e questa Apostolica Sede; pietà che avete dimostrata sempre con grandi opere e prove di cattolica carità. E benché la gravissima crisi nella quale Ci troviamo Ci abbia appena lasciato un po’ di tregua, tuttavia con l’aiuto di Dio non abbiamo mai differita nessuna delle cure dirette a proteggere la prosperità temporale dei Nostri sudditi; e quale tranquillità e sicurezza pubblica vi fossero presso di Noi, quale fosse la condizione di tutte le attività intellettuali e artistiche, quali fossero la fede in Noi e la volontà dei Nostri popoli, hanno potuto sapere molto bene tutte le Nazioni dalle quali affluirono a gara in ogni tempo innumerevoli forestieri in questa città, specialmente in occasione delle numerose celebrazioni e delle solenni manifestazioni sacre che abbiamo compiuto.
Stando così le cose e godendo il Nostro popolo una tranquilla pace, il re subalpino e il suo governo, colta l’occasione di una grande guerra scoppiata fra due potentissime Nazioni d’Europa, con una delle quali avevano pattuito che avrebbero mantenuto inviolato lo stato presente del dominio ecclesiastico e che non lo avrebbero lasciato turbare da uomini di partito, decretarono immediatamente di invadere le altre terre del Nostro dominio e persino la Nostra Sede e di assoggettarle al loro potere. E quali cause si accampavano per questa invasione nemica? Certamente tutti conoscono le cose che sono trattate in una lettera del re dell’8 Settembre scorso diretta a Noi e trasmessaCi dal suo ambasciatore presso di Noi, lettera nella quale con lungo e subdolo giro di parole e di pensieri, ostentandosi figlio rispettoso e buon cattolico e sostenendo la causa dell’ordine pubblico e della salvezza del Pontificato stesso e della Nostra persona, Ci domandava di non prendere il rovesciamento del Nostro potere temporale come un atto di ostilità e di ritirarsi spontaneamente da tale potere fidandoCi delle futili garanzie che egli Ci faceva con le quali, diceva, i desideri dei popoli italiani verrebbero conciliati con il supremo diritto e la libertà dell’autorità spirituale del Romano Pontefice. Noi, naturalmente, Ci siamo molto meravigliati vedendo come la violenza che stavamo per subire di momento in momento si volesse coprire e dissimulare, e Ci addolorammo intimamente della triste sorte del re che, spinto da cattivi consigli, ogni giorno infligge nuove ferite alla Chiesa e, avendo più rispetto per gli uomini che per Dio, non pensa che vi è in Cielo il Re dei Re e il Signore dei Signori, il quale "non escluderà nessuno, non temerà la grandezza di nessuno, poiché egli fece il piccolo e il grande e tormenti più forti sovrastano ai più forti" (Sap. VI, 8-9). Per quel che riguarda poi le richieste che Ci sono state rivolte, crediamo di non dover esitare, obbedendo alle leggi del dovere e della coscienza, a seguire gli esempi dei Nostri Predecessori, e soprattutto di Pio VII di felice memoria, del quale bisogna qui che esprimiamo e facciamo Nostri i sentimenti d’animo invitto da lui dimostrati in una circostanza assolutamente simile a questa: "Ricordammo, con Sant’Ambrogio, che il Santo uomo Naboth possessore della sua vigna, avendogli il Re domandato di cedergli la sua vigna dove sradicate le viti avrebbe seminato dei volgari ortaggi, rispose: non cederò mai ad altri l’eredità dei miei padri. Di conseguenza giudicammo che a Noi fosse assai meno lecito cedere tanto antica e sacra eredità (cioè il dominio temporale di questa Santa Sede posseduto per tanta serie di secoli dai Romani Pontefici Nostri Predecessori per palese volere della Divina Provvidenza), o tacitamente acconsentire che chiunque si impadronisse della capitale del Mondo cattolico, dove sconvolta e distrutta la santissima forma di governo che fu da Gesù Cristo lasciata alla sua Santa Chiesa e regolata dai sacri canoni fondati sullo spirito di Dio, sostituirebbe a questa un codice contrario assolutamente, non solo ai sacri canoni, ma anche ai precetti evangelici e introdurrebbe, secondo il solito, quel nuovo ordine di cose che tende apertamente ad associare ed a confondere con la Chiesa cattolica tutte le superstizioni e le sette. Naboth difese le sue viti anche col suo sangue. Potevamo Noi, qualunque cosa stesse per accaderCi, esimersi dal difendere i diritti e possessi della Santa Romana Chiesa, dal momento che per mantenerli secondo tutte le Nostre possibilità fummo vincolati da un sacro solenne giuramento? O dal difendere la libertà della Sede Apostolica, che è così legata alla libertà e utilità di tutta la Chiesa? Ancorché mancassero altri argomenti, le cose che ora accadono dimostrano fin troppo efficacemente quanta realmente sia la convenienza e la necessità di questo Principato temporale che garantisce al capo supremo della Chiesa il sicuro e libero esercizio di quel potere spirituale che per volontà divina gli fu dato su tutto il mondo" (Lett. Apost. 10 Giugno 1809).
Seguendo dunque questo modo di sentire, che abbiamo costantemente manifestato in parecchie Nostre allocuzioni, rispondendo al re, disapprovammo le sue ingiuste pretese in modo tuttavia da mostrare il Nostro acerbo dolore insieme al Nostro paterno affetto che non può fare a meno di preoccuparsi neppure per i figli che imitano il ribelle Assalonne. Questa lettera non era ancora stata portata al re, quando nel frattempo dal suo esercito furono occupate le città finora intatte e tranquille del Nostro Stato Pontificio, mentre venivano facilmente sconfitte le milizie ausiliarie dove tentavano di opporre resistenza; e poco dopo sorse quel funesto giorno che fu il 20 Settembre scorso; giorno nel quale vedemmo questa Città, sede principale degli Apostoli, centro della Religione Cattolica e rifugio di molte genti, assediata da molte migliaia di armati; e mentre si faceva breccia nelle sue mura e si spargeva il terrore con continuo getto di proiettili, fummo addolorati di vederla espugnata per comando di colui che poco prima tanto nobilmente aveva dichiarato di essere animato da affetto filiale per Noi e da fedele sentimento religioso.
Che cosa può essere più funesto di quel giorno per Noi e per tutte le anime buone? Di quel giorno nel quale, entrate le milizie in Roma che era piena di una moltitudine di stranieri sediziosi, vedemmo immediatamente sconvolto e rovesciato l’ordine pubblico, vedemmo insultata empiamente nella Nostra umile persona la dignità e santità del Sommo Pontificato, vedemmo le fedelissime coorti dei Nostri soldati insultate in tutti i modi, vedemmo dominare dappertutto sfrenata insolente libertà, là dove poco prima splendeva l’affetto dei figli desiderosi di confortare la tristezza del Padre comune? Da quel giorno poi si susseguirono sotto i Nostri occhi tali cose, che non si possono ricordare senza la giusta indignazione di tutti i buoni: perfidi libri zeppi di menzogne e di empie malvagità cominciarono a essere proposti come acquisto conveniente e a poco a poco ad essere divulgati; moltissimi giornali furono sparsi di giorno in giorno, miranti a corrompere le menti e i buoni costumi, a disprezzare e calunniare la Religione e infiammare l’opinione pubblica contro di Noi e questa Apostolica Sede; si pubblicarono illustrazioni vergognose e indegne e altre opere del genere con le quali le cose e le persone sacre erano derise e esposte al pubblico scherno; furono decretate onoranze e monumenti a coloro che avevano pagato per legittima condanna il fio dei più gravi delitti (2) i ministri della Chiesa contro i quali è più ardente l’odio erano insultati e alcuni anche feriti a tradimento; alcune case religiose furono sottoposte a ingiuste perquisizioni; fu violato il Nostro Palazzo Quirinale e da questo, dove aveva sede, uno fra i Cardinali di Santa Romana Chiesa fu costretto a forza ad andarsene immediatamente e agli altri ecclesiastici Nostri familiari fu proibito di frequentare il Quirinale e furono molestati in tutti i modi; si fecero leggi e decreti che offendono manifestamente e calpestano la libertà, l’immunità, le proprietà e i diritti della Chiesa di Dio; e questi gravissimi mali dobbiamo dire con grande dolore che aumenteranno ancora se Dio benigno non lo impedirà, mentre Noi, impossibilitati dalla Nostra condizione a portare alcun rimedio, ogni giorno più dolorosamente dobbiamo renderCi conto della prigionia nella quale Ci troviamo e della mancanza di quella piena libertà che con la menzogna si fa credere al mondo che Ci è stata lasciata per esercitare il Nostro Apostolico Ministero e che il governo invasore va raccontando di aver voluto convalidare con le cosiddette necessarie guarentigie.
E non possiamo qui passare sotto silenzio quell’enorme delitto che certamente vi è noto, o Venerabili Fratelli. Infatti, come se i possessi e i diritti della Sede Apostolica, sacri e inviolabili per tanti titoli e sempre riconosciuti per tanti secoli, potessero essere contestati e rimessi in discussione; e come se le censure gravissime, nelle quali immediatamente e senza nessuna nuova dichiarazione incorrono i violatori di tali diritti e possessi, potessero perdere la loro efficacia per la ribellione e la tracotanza popolare; per abbellire la sacrilega spoliazione che abbiamo sofferta con ogni disprezzo del diritto naturale e umano, si escogitò quell’apparato e quella finzione di plebiscito (3) usata nelle province strappate a Noi; e coloro che di solito si rallegrano delle perfidie non arrossiscono in questa occasione di ostentare per tutte le città d’Italia come per una manifestazione trionfale la ribellione e il disprezzo delle censure ecclesiastiche, andando contro i fraterni sentimenti della maggior parte degli italiani, la devozione, la pietà e la fede dei quali verso Noi e la Santa Chiesa vengono oppresse in tutti i modi perché non possano liberamente espandersi.
Noi frattanto, che da Dio siamo stati posti a guidare e a governare tutta la Casa d’Israele e siamo stati creati supremi protettori della Religione, della giustizia e difensori dei diritti della Chiesa, per non essere rimproverati di fronte a Dio e alla Chiesa di essere stati zitti e di avere così tacitamente assentito a tanto sciagurato sconvolgimento, rinnoviamo e riconfermiamo quanto abbiamo altrove solennemente dichiarato nelle Allocuzioni, nelle Encicliche e nei Brevi qui sopra citati e nella recente protesta che per comando Nostro e in Nostro nome il Cardinale incaricato degli affari pubblici ha mandato proprio il 20 Settembre agli ambasciatori, ministri e incaricati di affari delle Nazioni estere costituite presso di Noi; e di nuovo con la massima solennità dichiariamo a voi, Venerabili Fratelli, che la Nostra idea, la Nostra intenzione e la Nostra volontà è di conservare integri e inviolabili tutti i domini e i diritti di questa Santa Sede e di trasmetterli ai Nostri successori; che qualunque usurpazione, compiuta sia ora che prima, è ingiusta, violenta, vana e nulla e che tutte le azioni dei ribelli e degli invasori, sia quelle compiete finora, sia quelle che eventualmente si compiranno in futuro per consolidare tale usurpazione, fin da ora sono da Noi condannate, annullate, cassate e abrogate.
Dichiariamo inoltre, protestando innanzi a Dio e a tutto il mondo cattolico, che siamo tenuti in una prigionia tale che non possiamo esercitare sicuramente, tranquillamente e liberamente la Nostra suprema Autorità pastorale. Finalmente, uniformandosi al motto di San Paolo: "Che cosa ha a che fare la giustizia con l’ingiustizia? Qual società vi può essere tra la luce e le tenebre? Quale accordo tra Cristo e Belial? " (II Cor. VI, 14-15), apertamente dichiariamo che Noi, memori del Nostro dovere e del solenne giuramento che Ci vincola, non acconsentiamo e non acconsentiremo mai a nessuna conciliazione che distrugga o diminuisca in qualche modo i diritti Nostri, e quindi di Dio e della Santa Sede; come pure Ci dichiariamo pronti, con l’aiuto della Grazia Divina, vecchi come siamo, a bere fino al fondo, per la Chiesa di Cristo, il calice che egli stesso si degnò di bere per lei, a non aderire mai alle inique richieste che Ci si propongono e a non assecondarle mai. Diceva infatti il Nostro Predecessore Pio VII: "Far violenza a questo Supremo Impero della Sede Apostolica, separarne il potere temporale da quello spirituale, dissociare le funzioni di pastore e di principe, staccarle, distruggerle, non è altro che voler calpestare e rovinare l’opera di Dio, che danneggiare il più possibile la religione, che privarla della più efficace difesa, così che il suo sommo rettore pastore e Vicario di Dio non possa portare ai cattolici sparsi per tutta la terra e invocanti da lui aiuto e forza quei soccorsi che si esigono dalla sua spirituale potestà, la quale non deve essere intralciata da nessuno".
Ma poiché i Nostri ammonimenti, domande e proteste, sono riusciti vani, Noi con l’autorità di Dio Onnipotente, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo a voi, Venerabili Fratelli, e per mezzo vostro a tutta la Chiesa, che tutti coloro che si distinguono per qualche dignità, anche degna di particolare menzione, che abbiano perpetrato l’invasione, l’usurpazione o l’occupazione di qualunque provincia del Nostro dominio e di quest’alma Città, e così pure i loro mandanti, fautori, collaboratori, consiglieri, seguaci o chiunque altro procuri con qualunque pretesto, in qualsiasi modo, o operi per se stesso l’esecuzione delle suddette scelleratezze, incorrono nella scomunica maggiore e nelle altre censure e pene ecclesiastiche inflitte dai Sacri Canoni, dalle Costituzioni Apostoliche e dai decreti dei Concili generali, soprattutto di quello di Trento, nella forma e nel tenore espressi nella sotto ricordata Nostra Lettera Apostolica del 26 Marzo 1860.
Poiché non dimentichiamo che occupiamo in terra il posto di Colui che venne a ricuperare e a salvare ciò che era perduto, niente desideriamo più che accogliere con paterno affetto i figli che avevano deviato e che ritornano a Noi; perciò, levando le mani al Cielo con umile cuore, mentre rimettiamo a Dio e gli raccomandiamo la giusta causa che è sua piuttosto che Nostra, lo preghiamo e lo supplichiamo per la sua profonda misericordia di assistere e di aiutare efficacemente Noi e la Sua Chiesa e pietoso e benevolo di fare in modo che i nemici della Chiesa pensino all’eterno danno che si vanno preparando, cerchino di placare prima del giorno della vendetta la sua formidabile giustizia e cambiando idea confortino il pianto della Santa Madre Chiesa e la Nostra tristezza.
Per poter conseguire dalla Divina Clemenza tanto notevole beneficio, vi esortiamo molto insistentemente, o Venerabili Fratelli, a congiungere unitamente ai fedeli a voi affidati le vostre fervide preghiere ai Nostri voti; e rivolgendoci tutti insieme al trono di Grazia e di misericordia facciamo intercedere l’Immacolata Vergine Maria Madre di Dio e i Beati Apostoli Pietro e Paolo. "La Chiesa di Dio dall’origine fino a questi tempi più volte fu torturata e pia volte salvata. Sua è questa voce: spesso mi assalirono fin dalla giovinezza; non poterono nulla su di me. I peccatori fabbricarono sul mio dorso e prolungarono le loro malvagità. E neppure ora il Signore trascurerà lo sforzo dei peccatori più che la sorte dei giusti. Non è indebolita la mano di Dio e non è divenuta impotente a salvare. Anche in questa circostanza senza dubbio libererà la Sua sposa, Egli che la riscattò col Suo sangue, la dotò col Suo Spirito, la ornò di doni celesti e nello stesso tempo la arricchì di doni terreni".
Frattanto, invocando i più abbondanti benefizi delle Celesti Grazie per voi, Venerabili Fratelli, e per tutti i fedeli ecclesiastici e laici affidati alla vostra vigilanza, come pegno del Nostro particolare affetto per voi, caldamente impartiamo dal più profondo del cuore l’Apostolica Benedizione a voi e ai Nostri diletti figli.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 1° novembre 1870, anno XXV del Nostro Pontificato.
PIO PP. IX.
NOTE(1) Si allude all’impresa garibaldina per la liberazione di Roma, finita tragicamente nella giornata di Mentana, il 3 Novembre 1867.
(2) L’allusione alle onoranze rese a coloro che avevano pagato per legittima condanna "il fio dei più gravi delitti" si riferisce al ricordo marmoreo decretato a Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, autori di un attentato dinamitardo avvenuto il 22 Ottobre 1867 nella caserma Serristori.
(3) Il plebiscito romano diede questi risultati: votanti 167.548; votarono SI, per l’annessione di Roma all’Italia: 133.681; votarono NO: 1507. Dalla sproporzione dei suffragi, è evidente la falsificazione ad opera del governo subalpino.